martedì 11 dicembre 2007

Caterina va in città


Un film di Paolo Virzì. Con Sergio Castellitto, Alice Teghil, Margherita Buy, Claudio Amendola, Antonio Carnevale, Paola Tiziana Cruciani, Galatea Ranzi, Giulia Elettra Gorietti, Luisella Boni. Genere Commedia drammatica, colore 90 minuti. - Produzione Italia 2003.

Tengo molto a Virzì ed al suo cinema. Credo sia uno dei rari depositari di un modo antico di realizzare la commedia all'italiana che ha fatto scuola in tutto il mondo (fuorchè da noi, ahinoi); uno che ha studiato, insomma, ma sui film giusti: a volte mi da l'idea di un nuovo Monicelli.
Con questo film realizza forse il suo film più duro (anche se ad uno sguardo superficiale potrebbe apparire il più fragile). L'Italia, quella vera (o perlomeno verosimile), è rappresentata sullo schermo nella prospettiva frenetica e innocente di un'adolescente sballottata letteralmente (politicamente!) a destra e a sinistra.
Un'opera che realizza compiutamente quella dimensione dell'umano che ormai è utopistico auspicare nei vari Muccinos che infestano il nostro perduto cinema.
Castellitto padre rappresenta al meglio il tipico loser intellettuale all'italiana e la Buy è perfetta stavolta nel suo "non-esserci" (una grande interpretazione da non protagonista). Che dire poi della dolce Alice Teghil.
Un interrogativo: chissà cosa avrà pensato Maurizio Costanzo dopo aver visto di quanta arroganza è stato capace nei suoi talk? Chissà quante maledizioni avrà mandato al geniale Virzì.

mercoledì 28 novembre 2007

Saturno Contro


(Italia, 2007) di Ferzan Ozpetek; con PierFrancesco Favino, Stefano Accorsi, Luca Argentero, Margherita Buy, Ambra Angiolini, Serra Yilmaz, Milena Vukotic, Isabella Ferrari, Ennio Fantastichini.

Ozpetek può reputarsi uno dei più eleganti e competenti registi oggi in circolazione nel desolato cinema italiano. Uno che sa esattamente come si tiene in mano una macchina da presa. Purtroppo per lui per fare del buon cinema ci vogliono bravi attori. Ora, guardando l'ultimo Ozpetek, il parallelo con Muccino viene quasi automatico. E' ora di dire basta! Mi sono rotto di rivedere l'ennesimo Ultimo Bacio. Dovremmo indignarci verso questo modo di produrre cinema. Vi chiedo: vi sentite rappresentati da attori come Favino, Accorsi e Fantastichini, dal loro mondo patinato fatto di abiti firmati e case perfettamente arredate? Da Ambra che spippa la coca e dice di avere saturno contro?
IO NO!

lunedì 19 novembre 2007

Il nascondiglio

Il nascondiglio
di Pupi Avati
con Laura Morante, Burt Young, Treat Williams, Yvonne Sciò
Usa, Italia, 2007
100'


Dispiace dover parlar male di questo film, ma quando ti siedi in poltrona dopo aver fatto mezz'ora di fila per il biglietto e cominci ad accusare sintomi univoci come mal di schiena, palpebra appesantita, posizioni scomode, nausea asmatica...beh, a quel punto non esistono argomenti che tengano. Dopo mezz'ora di coma vigile, mi sono destato cercando di capire perchè un film simile non funzionasse. Prendendo lentamente coscienza di me, ho cominciato a razionalizzare.
Non c'è attore che riesca ad esprimere qualcosa di sensato e funzionale alla storia, sembrano tutti messi lì tanto per, in altre circostanze diremmo fuori ruolo ma a tratti i ruoli sembrano mancare dallo stesso plot: fastidiosissimo udire la Morante che bisbiglia per tre quarti del film.
La sceneggiatura è insulsa, un utilizzo massiccio e scriteriato dei più triti luoghi comuni del cinema horror sulle case maledette, persino ahimè nelle sonorizzazioni affidate ad un Riz Ortolani qui non proprio al top della forma.
Non c'è nulla in questo film, proprio nulla e mi dispiace per Avati, ma quand'è così soltanto due sono le ipotesi: o abbiamo un grande regista italiano ormai stanco ed invecchiato oppure trattasi di mera operazione commerciale precostituita sulla necessità di cavalcare l'onda della rivitalizzazione del cinema di genere.
Meglio ritornare di corsa a casa, o meglio, alla casa dalle finestre che ridono.

venerdì 16 novembre 2007

The Black Cat/Il Gatto Nero


horror, col, 92 min.
Regia: Lucio Fulci
Sceneggiatura: Lucio Fulci, Edgar Allan Poe, Biagio Proietti
Attori: Patrick Magee, Mimsy Farmer, David Warbeck
Fotografia: Sergio Salvati
Produzione: Italia, 1981
Musica: Pino Donaggio

Se escludiamo il finale, calligraficamente "sceneggiato" dallo spirito di Edgar Allan Poe e proprio per questa ragione...calante, con Black Cat assistiamo ad uno dei vertici della produzione fulciana soprattutto per l'originale rilettura visiva di un capolavoro della letteratura gotica di ogni tempo.
Guardare un film simile è come sfogliare (purtroppo solo catodicamente) uno dei migliori albi bonelliani del primo Dylan Dog. Ogni fotogramma è una tavola. Esistono giochi di sguardi sensazionali la cui forza dipende con tutta probabilità dal perfetto sodalizio tra capacità espressive degli attori e sapiente taglio del regista.




Ideale anello di congiunzione tra il periodo thriller e la fase splatter (vedi la partecipazione di significative icone del secondo periodo, la Lassander, Al Cliver e Warbeck), Black Cat ci da la possibilità di scoprire ancora una volta il talento unico di un misconosciuto mimo del passato come Patrick Magee (per chi non lo sapesse...l'intellettuale ridotto sulla sedia a rotelle da Alex nel capolavoro kubrickiano Arancia Meccanica).


Fulci è abilissimo nel catturare espressioni facciali e sguardi inquieti bizarri allucinati del nostro perfettamente attinenti al linguaggio gotico.
Altra grande perla del thriller italiano è Mismy Farmer, attrice che dimostra ancora una volta grande professionalità e credibilità scenica.
Black Cat, infine, coniuga alla perfezione la compattezza narrativa del primo Fulci e le migliori suggestioni del secondo.

mercoledì 24 ottobre 2007

Grindhouse


Alla resa dei conti il vero Tarantino è stato a mio parere Robert Rodriguez. Contrariamente a quanto affermato da Kurt Russel all'uscita di Death Proof a seguito della discussa scissione dell'... "episodio" Planet Terror, ritengo che è stato assolutamente un bene operare una soluzione di continuità tra i due film, vuoi per un diversissimo impianto narrativo vuoi soprattutto per una diversità di stile e di presupposti estetici. Intendiamoci, non che Death Proof sia un prodotto da scartare, anzi: sequenze spettacolari come quella del tamponamento visto dall'angolazione delle diverse vittime rimarranno indelebili nell'immaginario del tarantiniano doc. Per non parlare del finale. Quello che non convince è invece il rimanere ancorato ad un'impostazione dei dialoghi che nella sua lungaggine resta fine a se stessa: per carità non voglio estendere il concetto ad un Jackie Brown o Pulp Fiction, che da alcuni epici scambi di battute traggono linfa vitale, ma sono convinto che un capolavoro assoluto come Kill Bill 2 perde peso proprio nelle lunghe boriose "menate" di Bill su Superman, che tolgono suspence e vigore alla manovra finale.
In Death Proof questo aspetto viene portato agli eccessi come mai Tarantino avesse fatto prima d'ora.
Altra cosa poco convincente è l'innesto delle colonne sonore. Ascoltare estratti morriconiani da L'uccello dalle piume di cristallo piuttosto che il Micalizzi di Italia a mano armata, piuttosto che il Gangster Story dei fratelli De Angelis, piuttosto che La polizia sta a guardare di Stelvio Cipriani durante le scene di inseguimento finali è assistere ad una decontestualizzazione che stavolta (a differenza delle precedenti prove) è figlia del citazionismo puro privo di alcun legame concettuale con le immagini.
Spero, visto l'amore e la stima che nutro per Tarantino, che questo non rappresenti il punto di non ritorno.
Tutt'altro discorso vale per Planet Terror. Già col superbo Sin City e prima ancora col cultissimo Dal tramonto all'alba, Rodriguez aveva mostrato i muscoli, ma con questo suo Planet Terror ha consegnato ai posteri il suo capolavoro.
Chissà quanti coglieranno la novità del linguaggio, l'impegno e la cura riposta in un'opera che partendo dall'analisi della filmografia a basso costo è in grado di codificare un impianto estetico nuovo, originale, moderno, letteralmente alternativo.
I dialoghi qui, secchi equilibrati, hanno un retrogusto tutt'altro che demenziale (come a prima vista potrebbe apparire): a tratti abbiamo la sagacia politica dei Simpson ma all'ennesima potenza.
L'ipotesi di una deriva romantica tra i protagonisti viene grottescamente spezzata dalla voce sguaiata della dottoressa che lancia la fune di salvataggio in una sequenza chè è già memorabile.
Luce dei miei occhi.